martedì 29 settembre 2009

Appunti di architettura/ 01

Da Lotus n.73
La geometria complementare
di Juan Navarro Baldeweg


Il mio interesse verte su ciò che esiste tra le cose e su ciò che esiste tra le cose e noi. L’ambito di azione dell’architettura e della pittura è il mondo fisico, sono la materia, le forze, il corpo. Ci dedichiamo alla fabbricazione di cose. Ma la mia attenzione si dirige soprattutto allo spazio complementare, che le circoscrive, le avvolge, le sostiene e le fonda. Le cose sono collegate tra di loro e noi siamo collegati ad esse da fenomeni difficilmente verificabili, come la gravità e la luce. È l’esistenza di questi legami e di questi filamenti tra le cose a permetterci di parlare di partecipazione al mondo che ci circonda.
La mia ricerca indaga sul modo in cui queste sostanze avvolgenti, costitutive ed illimitate si presentano, nel tentativo, forse, di modificare la nozione di oggetto come qualcosa di limitato, per ricollocarlo in una geometria di intersezioni, di fughe e di interposizioni.
Il regno del complementare esiste a priori e non è intrinsecamente oggetto del disegno. Ma superare l’idea dell’oggetto significa anche oltrepassare i fini abituali del disegno per far si che si riveli il sistema matrice, il luogo originale a cui bisogna ritornare riconoscendone la natura. Allora, l’interesse fondamentale di uno scultore riguarderebbe, prima ancora della figura completa, il blocco di pietra, la luce che per mezzo della figura viene eccitata, o la gravità che si esercita sul suo peso.
Le pareti di una casa sono interposizioni nel nostro orizzonte visivo e devono suggerire l’esperienza dell’orizzonte aperto e libero. Il tetto e le forme strutturali specifiche sono canalizzazioni del flusso energetico della gravità, e, nell’osservarli, anche i ricettori del nostro corpo risuonano e si mettono in movimento. Nel momento in cui l’occhio percepisce, gli altri sensi, come il tatto ed il gusto, si eccitano, e la memoria si attiva dando origine ad un complesso insieme di aspettative. L’architettura è il luogo di raccolta di queste linee che si muovono in diagonale, che stimolano le produzioni materiali e che ci includono perché siamo parte di esse. In definitiva le opere rappresentano quanto si trova al di fuori: qualcosa che non ha principio né fine, al quale non si adattano le distinzioni di dentro e fuori.
Lo sguardo dell’artista si rivolge verso qualcosa che è allo stesso tempo vicino e remoto. Come il filosofo per pensare al dato concreto deve costruire l’ambito astratto e la cornice lontana in cui le idee come in un vortice si muovono e passano, così, a mio avviso, un’opera è la sezione fisicamente definita nella trama di fibre che si estendono al di là di essa, è un taglio nella corda composta dai fili che legano ciò che è sciolto.

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