giovedì 30 settembre 2010

Appunti di architettura/ 02

Da Lotus n. ?
Valori termici
di Franco Purini

La direzione est-ovest lungo la quale si svolge il movimento della rotazione terrestre ha determinato l’evoluzione dell’architettura occidentale negli ultimi secoli. La mitologia relativa al ciclo del giorno e della notte, della luce e del buio, con il suo derivato simbolico del sorgere e del tramontare del sole come successione di ascese e cadute e con il corollario delle idee di “ricorso” e di” movimento” è stata alla base di pressoché tutti i significati del costruire. Le nozioni stesse di razionalità e di irrazionalità, in questo contesto, non sono altro che “trasferimenti” logici e metaforici della chiarezza e dell’oscurità. Determinando il linguaggio dell’architettura e definendo le modalità con le quali esso si rappresenta, questa alternanza tra “visibile” e “invisibile” ha plasmato direttamente ed indirettamente istituzioni e procedure disciplinari, ha formalizzato tematiche e soluzioni tecniche ed espressive. Il centro ideale di tale dialettica si è riconosciuto nella città, monumento della borghesia a se stessa, possibile, totale colonizzazione del mondo intero. Il ciclo luce-buio, giorno-notte, visibile-invisibile, si svolge assecondando la rotazione terrestre. Il percorso est-ovest si definisce così come un flusso energetico che canalizza le risorse immaginative dell’intero universo culturale occidentale. Sul globo terrestre questo movimento si sviluppa lungo una “strada” ideale definita da due cerchi concentrici sovrapposti. A questa concezione “orizzontale”, visualizzata dai “paralleli”, sta cominciando ad opporsi oggi il suo contrario, la direzione nord-sud, luogo della successione caldo-freddo, evidenziata dai meridiani. Se l’immagine della più piccola porzione del pianeta secondo la suddivisione individuata dai paralleli è un anello, figura dell’equivalenza, quella legata ai meridiani è un fuso, configurazione simmetrica ma dinamica, schema che duplica il profilo del mondo e che si annulla ai poli, distretti nei quali qualsiasi vita è negata. La sezione dell’anello e la sua rotazione attorno al suo centro individuano una sorta di edificio circolare, un pantheon dall’occhio smisurato. Il fuso implica la struttura di una barca e incorpora così la simbologia del viaggio. Gli apici del fuso alludono a cicli che si concludono e che in qualche modo si annullano. Nello stesso tempo la convergenza delle due curvature del fuso verso i suoi vertici accellera ed estremizza l’immagine prospettica dello spazio.Al movimento orizzontale est-ovest si sta dunque contrapponendo una direzione alternativa, quello nord-sud. Grandi migrazioni provenienti dall’Africa e dai paesi sud-orientali, ma anche dai paesi est-europei, ex comunisti, premono sull’occidente sollecitando a rivedere radicalmente i valori nei quali si è riconosciuto. All’interno di questo nuovo mutamento “profondo”, annunciato dall’arte povera e manifestato dalla spinta delle etnie nord-africane sull’Europa, il calore si va progressivamente sostituendo alla luce. La “forma” dell’energia appare più diretta. Mentre l’alternanza tra luce e buio si rivolge principalmente alla dimensione visiva, all’”occhio” come organo privilegiato – basti pensare all’occhio di Ledoux – quella tra caldo e freddo parla soprattutto al tatto. La relazione tra caldo e freddo è un sistema di segni “ciechi”. La corporeità vi è assunta come funzione primaria. Mentre, infatti, ciò che si vede può essere lontano, il caldo e il freddo devono “toccare” il corpo, lo devono “attraversare”. L’ambiente è allora la presa di coscienza della nudità del corpo. Implicita nell’attuale esplorazione dell’Antartide, simulazione di una virtuale “urbanizzazione”, questa accettazione dell’assialità del globo comporta una revisione radicale del “ruolo” della morte, non più momento del buio, ma del freddo. La riscoperta del tatto contrasta l’”immaterialità” dell’architettura dell’Occidente a vantaggio di una rivalutazione della “matericità” dell’architettura. Già contenuta nell’high-tech – che espone all’esterno, come elementi decorativi, i dispositivi regolatori del caldo e del freddo e quindi la possibilità di una “tattilità” oggi del tutto negata dalla supremazia del “visivo” – la matericità si inverte in un nuovo senso, quello delle “textures”. Decaduta l’importanza “figurativa” dei manufatti, prevale in loro la composizione “sinfonica” dei valori termici, i quali prendono il posto di quelli plastici, attivati dalla luce. L’architettura dell’Occidente è oggi dominata da una completa, apparentemente irreversibile, separazione del corpo dell’edificio dalla sua immagine. Il simulacro ha preso il posto della “cosa fisica” corrispondente.Si costruisce non tanto perché l’edificio sia abitato ma perché esso invii nel circuito dei media la propria “duplicazione” virtuale sotto forma di icona totale. Un’icona assoluta e ultimativa, capace di essere decodificata in tempo reale e nella complessità dei suoi significati da una pluralità di utenti “invisibili”. Mentre si perviene così ad una nuova universalità della comunicazione, si è costretti a rinunciare alla realtà stessa dell’oggetto architettonico, in qualche modo “falsificato” nella sua immagine incorporea, nella sua proiezione telematica. Questa condizione, nella quale l’architettura si è fatta “immateriale”, si rappresenta attraverso cinque figure.La prima è quella del “coltello”, figura aggressiva che nel suo profilo accuminato esprime la volontà di sezionare quel groviglio inestricabile di relazioni impersonali che è tipico delle società postindustriali. La seconda è quella del “flauto”, una forma planimetrica che rimanda alla seduzione orfica, ai riti dell’incantamento di cui è costellato il comportamento collettivo dell’occidente. La terza si riconosce nella sagoma del “coleottero”, un corpo curvo e trasparente sospeso sul suolo tramite esili appoggi. Questa figura evoca un volo breve, intermittente, indizio di una progettualità rapsodica e circoscritta, mentre segnala una sostanziale modificazione dell’idea di “scheletro” strutturale. Questo non fa più riferimento all’ossatura pesante dei mammiferi, ma a quella cartilaginea, trasparente e leggera degli insetti.La quarta figura, quella dello “strato”, implica la duplicità degli elementi di architettura, in grado di emettere contemporaneamente due segnali contrastanti. Si tratta di un’importante funzione retorica. Nelle società terziarie avanzate nulla è soltanto se stesso, tutto è anche un’altra cosa. Tale condizione di ambivalenza è ulteriormente esaltata dall’ultima figura, quella della “maschera”, vale a dire uno schermo sovrapposto al volume architettonico. La maschera ha un compito essenziale. Essa sovrappone alla forma architettonica la sua rappresentazione, amplificandola e distorcendola. “Travestire” un edificio significa ricordare quella difficoltà di identificazione tra finalità e strumenti che costituisce uno dei caratteri salienti della società occidentale. Quest’ultima è, infine, un sistema che spreca risorse enormi. La sua è un’architettura ricca che, al costo economico dei manufatti ai quali dà luogo, aggiunge un’insostenibile dissipazione di energie inventive. Tale spreco va arrestato. Occorre tornare non tanto ad “architettura povera”, ma ad un’”architettura della povertà”, un’architettura di materiali scabri – come ha insegnato Le Corbusier – nella quale il plusvalore estetico sia prodotto da una complessità concettuale e non materiale, in grado di trasformare l’oggetto architettonico in un soggetto dialogante. Un oggetto di nuovo corporeo, da toccare, da ascoltare nelle sue vibrazioni tattili portatrici di valori termici, di accensioni calde e di eloquenti raffreddamenti.Il ciclo caldo-freddo è funzione anch’esso della presenza solare. Ma lo è anche come effetto secondo, come risultato di un’azione che se è diretta non è più percepibile attraverso un evidente nesso casuale. A sua volta la città è essa stessa un prodotto del ciclo luce-buio, connesso a quello del calore. La città del prossimo millennio sarà allora la “derivata prima” di quella di oggi. Una città delle materie, più vicina alla corporeità terrestre, un insieme di sbarramenti climatici, di accellerazioni delle temperature, una città del fuoco e del ghiaccio. Quest’ultimo per gli spazi pubblici, il primo per i paesaggi domestici. Costringendo il mondo all’immagine del fuso si affermerà come ortogonale l’inclinata, come del resto è già stato intuito per altre vie dal decostruttivismo. Le sommità del fuso parleranno dell’annullamento come “scrittura” del limite e del termine, mentre la sua curvatura racconterà le tensioni che animano e deformano il sottosuolo, premuto dal “sole interno” del nucleo incandescente del pianeta e accesso all’equatore da quello esterno. Alla “velocità” indotta dalla rotazione lungo la direzione est-ovest si opporrà, infine, la “lentezza” della progressione nord-sud e, forse, la sua fissità. Gli invisibili valori termici indurranno la “temperatura” delle città. E il “tempo” di un nuovo ambiente. 


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